mercoledì 21 ottobre 2009

Apprendistato: alcune delucidazioni

La Legge che disciplina l'apprendistato è: Legge 19 gennaio 1955 n. 25 (Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 1955, n. 35) 

Art. 11.

I datore di lavoro ha l'obbligo( 6 ):
a) di impartire o di far impartire nella sua impresa all'apprendista alle sue dipendenze l'insegnamento necessario perchè possa conseguire la capacità di diventare lavoratore qualificato;
b) di collaborare con gli enti pubblici e privati preposti alla organizzazione dei corsi di istruzione integrativa dell'addestramento pratico;
c) di osservare le norme dei contratti collettivi di lavoro e retribuire l'apprendista in base ai contratti stessi;
d) di non sottoporre l'apprendista a lavori superiori alle sue forze fisiche o che non siano attinenti alla lavorazione o al mestiere per il quale è stato assunto;
e) di concedere un periodo annuale di ferie retribuite;
f) di non sottoporre l'apprendista a lavorazioni retribuite a cottimo, nè in genere a quelle ad incentivo;
g) di accordare all'apprendista, senza operare alcuna trattenuta sulla retribuzione, i permessi occorrenti per la frequenza obbligatoria dei corsi di insegnamento complementare e di vigilare perchè l'apprendista stesso adempia l'obbligo di tale frequenza;
h) di accordare permessi per esami relativi al conseguimento di titoli di studio;
i) di informare periodicamente la famiglia dell'apprendista o chi esercita legalmente la patria potestà sui risultati dell'addestramento;
l) di non adibire gli apprendisti a lavori di manovalanza e di produzione in serie

Il problema è diverso se l'apprendista è minorenne, il riferimento è la LEGGE ORDINARIA DEL PARLAMENTO n. 977 del 17 ottobre 1967







Pertanto, se il lavoratore è minorenne sarà necessario fargli effettuare 2 visite mediche: quella di una struttura pubblica per l'idoneità alla mansione e quella periodica da far effettuare al proprio medico competente.


Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti. (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 276 del 6 novembre 1967) e succ. mod. ed int. (D.lgs 345/99 e dal d.lgs 262/2000)

1) Il divieto e' riferito solo alle specifiche fasi del processo produttivo e non all'attività' nel suo complesso; processi e lavori di cui all'allegato VIII del decreto legislativo n. 626 del 1994.

2) Lavori di fabbricazione e di manipolazione di dispositivi, ordigni ed oggetti diversi contenenti esplosivi, fermo restando le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 302.

3) Lavori in serragli contenenti animali feroci o velenosi nonche' condotta e governo di tori e stalloni.

4) Lavori di mattatoio.

5) Lavori comportanti la manipolazione di apparecchiature di produzione, di immagazzinamento o di impiego di gas compressi, liquidi o in soluzione.

6) Lavori su tini, bacini, serbatoi, damigiane o bombole contenenti agenti chimici di cui al punto I.3.

7) Lavori comportanti rischi di crolli e allestimento e smontaggio delle armature esterne alle costruzioni.

8) Lavori comportanti rischi elettrici da alta tensione come definita dall'art. 268 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547.

9) Lavori il cui ritmo e' determinato dalla macchina e che sono pagati a cottimo.

10) Esercizio dei forni a temperatura superiore a 500 C come ad esempio quelli per la produzione di ghisa, ferroleghe, ferro o acciaio; operazioni di demolizione, ricostruzione e riparazione degli stessi; lavoro ai laminatoi.

11) Lavorazioni nelle fonderie.

12) Processi elettrolitici.

13) (Soppresso).

14) Produzione dei metalli ferrosi e non ferrosi e loro leghe.

15) Produzione e lavorazione dello zolfo.

16) Lavorazioni di escavazione, comprese le operazioni di estirpazione del materiale, di collocamento e smontaggio delle armature, di conduzione e manovra dei mezzi meccanici, di taglio dei massi.

17) Lavorazioni in gallerie, cave, miniere, torbiere e industria estrattiva in genere.

18) Lavorazione meccanica dei minerali e delle rocce, limitatamente alle fasi di taglio, frantumazione, polverizzazione, vagliatura a secco dei prodotti polverulenti.

19) Lavorazione dei tabacchi.

20) Lavori di costruzione, trasformazione, riparazione, manutenzione e demolizione delle navi, esclusi i lavori di officina eseguiti nei reparti a terra.

21) Produzione di calce ventilata.

22) Lavorazioni che espongono a rischio silicotigeno.

23) Manovra degli apparecchi di sollevamento a trazione meccanica, ad eccezione di ascensori e montacarichi.

24) Lavori in pozzi, cisterne ed ambienti assimilabili.

25) Lavori nei magazzini frigoriferi.

26) Lavorazione, produzione e manipolazione comportanti esposizione a prodotti farmaceutici.

27) Condotta dei veicoli di trasporto, con esclusione di ciclomotori e motoveicoli fino a 125 cc., in base a quanto previsto dall'articolo 115 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e di macchine operatrici semoventi con propulsione meccanica, nonche' lavori di pulizia e di servizio dei motori e degli organi di trasmissione che sono in moto.

28) Operazioni di metallizzazione a spruzzo.

29) Legaggio ed abbattimento degli alberi.

30) Pulizia di camini e focolai negli impianti di combustione.

31) Apertura, battitura, cardatura e pulitura delle fibre tessili, del crine vegetale ed animale, delle piume e dei peli.

32) Produzione e lavorazione di fibre minerali e artificiali.

33) Cernita e trituramento degli stracci e della carta usata senza l'uso di adeguati dispositivi di protezione individuale.

34) Lavori con impieghi di martelli pneumatici, mole ad albero flessibile e altri strumenti vibranti; uso di pistole fissachiodi di elevata potenza.

35) Produzione di polveri metalliche.

36) Saldatura e taglio dei metalli con arco elettrico o con fiamma ossidrica o ossiacetilenica.

37) Lavori nelle macellerie che comportano l'uso di utensili taglienti, seghe e macchine per tritare.

Datore di Lavoro non RSPP e autocertificazione del DVR

Chiarimenti circa la possibilità di autocertificare la valutazione dei rischi da parte di un datore di lavoro che non svolge direttamente i compiti di RSPP - a cura di G. Porreca


Quesito
Sono un operatore di vigilanza e di recente ho effettuato un controllo presso una ditta la quale aveva alle sue dipendenze solo 2 lavoratori. Il datore di lavoro dell’azienda ha nominato come RSPP un consulente esterno ed ha autocertificato la valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 28 del D. Lgs. 81/2008.

Mi è sorto a proposito un dubbio: può il datore di lavoro, avendo meno di 10 dipendenti, autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi pur non svolgendo direttamente i compiti di RSPP? Dalla lettura dell’art. 33 dello stesso testo unico mi pare di capire che nel caso in cui l'RSPP sia persona diversa dal datore di lavoro questo, anche se l’azienda ha meno di dieci dipendenti, deve necessariamente redigere il documento di valutazione dei rischi.

Risposta
L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione e la valutazione dei rischi sono due obblighi separati fra di loro, l’uno previsto dall’art. 31 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e l’altro previsto dall’art. 17 dello stesso decreto legislativo quale obbligo del datore di lavoro, tra l’altro non delegabile, con la redazione del conseguente documento di valutazione dei rischi (DVR).

I compiti del servizio di prevenzione e protezione sono indicati nell’art. 33 del D. Lgs. n. 81/2008 e consistono nella:
a) individuazione dei fattori di rischio, valutazione dei rischi ed individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;
b) elaborazione, per quanto di competenza, delle misure preventive e protettive e dei sistemi di controllo di tali misure;
c) elaborazione delle procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
d) proposizione dei programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
e)partecipazione alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica;
f) informazione ai lavoratori di cui all'articolo 36.

L’art. 34 del D. Lgs. n. 81/2008 consente poi al datore di lavoro di aziende che presentano le caratteristiche indicate nell’allegato II di poter svolgere direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione previa adeguata formazione indicata nello stesso articolo. L’art. 29 comma 5 stabilisce, quindi, che i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori possano fino alla scadenza del 18° mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f) e, comunque, non oltre il 30 giugno 2012, autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi a meno che non svolgano le attività di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) e g).

Alla luce di quanto sopra indicato si è quindi del parere che anche se è stato istituito il servizio di prevenzione e protezione ed è stato individuato il Responsabile del servizio stesso (RSPP)  il datore di lavoro può ancora usufruire della facoltà di autocertificare la valutazione dei rischi facendo sue con ciò le conclusioni alle quali è pervenuto lo stesso RSPP in merito alla valutazione dei rischi la quale comunque, come già detto, rimane sempre a carico del datore di lavoro come suo obbligo non delegabile.

Fonte: puntosicuro.it

Autocertificazione della valutazione rischi

Chiarimenti circa l’applicazione del nuovo sistema sanzionatorio all’autocertificazione della valutazione dei rischi. A cura di G. Porreca.
 
Quesito
Sono un funzionario ispettivo e voglio porre un quesito in merito alla applicazione del D. Lgs. n. 758/1994 sul nuovo sistema sanzionatorio in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.
Un datore di lavoro dopo un ispezione e dopo avere avuta la comunicazione relativa alle prescrizioni impartite decide di chiudere la propria attività.
A questo punto si ammette il datore di lavoro al pagamento dell'ammenda ridotta oppure si da comunicazione alla Procura della Repubblica del mancato adempimento alle prescrizioni impartite?
La chiusura dell'attività può essere vista come cessazione della situazione di pericolo oppure la contravvenzione si estingue, così come recita l'art. 24 del D. Lgs 758/94 al comma 1, solo nel caso in cui il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede altresì al pagamento della sanzione ridotta?

Risposta
In effetti l’art. 24 del D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro”, stabilisce che la contravvenzione si estingue se il contravventore provvede ad adempiere alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine dallo stesso fissato e provvede altresì al pagamento della sanzione ridotta, così come previsto dall’at. 21 comma 2 dello stesso decreto legislativo. Per alcuni casi però quali quello prospettato nel quesito formulato oppure nei casi di cessazione della attività lavorativa o dell’esercizio della macchina o dell’impianto oggetto della contravvenzione nonché nei casi di ottemperanza spontanea da parte del contravventore ancor prima che venisse accertata l’esistenza del reato da parte dell’organo di vigilanza o ancora nei casi in cui l’organo di vigilanza abbia omesso di impartire il provvedimento di prescrizione, occorre tener conto delle indicazioni fornite qualche anno addietro dalla Corte costituzionale e contenute nella sentenza n. 19 del 18/2/1998.

Con tale sentenza la Corte Costituzionale, interessata dal giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di Ferrara, ad esprimersi, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, sulla legittimità costituzione dell’art. 24 comma 1 del D. Lgs. n. 758/1994 nella parte in cui non prevede che possano essere ammessi alla definizione in via amministrativa, con conseguente estinzione del reato, anche coloro che abbiano regolarizzato la violazione volontariamente ed indipendentemente dall’intervento dell'Organo di vigilanza (ad esempio con la rimozione delle circostanze nelle quali è stata riscontrata l'inadempienza o nei casi di messa fuori esercizio di macchine ed impianti risultati irregolari o di cessazione di attività del contravventore, ecc.) oppure anche nella ipotesi in cui l'Organo di vigilanza abbia omesso colposamente di impartire il provvedimento di prescrizione, ebbe modo di fornire delle utili indicazioni che ben si addicono al caso posto all’esame nel quesito introducendo quella che è stata definita la cosiddetta prescrizione “ora per allora”.

Infatti, la Corte Costituzionale ha sostenuto che in tali casi l’organo di vigilanza deve ritenersi autorizzato ad impartire "ora per allora" la prescrizione prevista dall'art. 20 del D. Lgs. n. 758/94 nonché ad attivare tutte le procedure amministrative previste dal decreto stesso (prescrizione, rivisita, ammissione al pagamento ridotto, comunicazione al PM degli adempimenti per l'archiviazione). La stessa Corte Costituzionale ha posto inoltre in evidenza come "una sottrazione del contravventore alla specifica procedura estintiva disciplinata dal D. Lgs. n. 758/94 determinerebbe indubbiamente una irragionevole e deteriore disparità di trattamento certamente rilevante sotto il profilo del divieto costituzionale di disciplinare in modo diverso situazioni analoghe". Quanto sopra, conclude la Corte Costituzionale, oltre che per un'ottica di equità costituzionale anche al fine di alleggerire il carico dell'Autorità Giudiziaria.
Si fa presente, infine, che le conclusioni sopraindicate alle quali la Corte Costituzionale è giunta con la sentenza n. 19 del 18/2/1998 sono state oggetto subito dopo la sua pubblicazione di una specifica comunicazione fatta dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ed indirizzata agli organi periferici di vigilanza con l’invito e la raccomandazione a volersi attenere alla stessa.

Fonte: puntosicuro.it

Lavoro accessorio: vademecum

Cos’è il lavoro accessorio? 
Quali i settori interessati e le modalità operative?
Quali i vantaggi e gli aspetti critici?
Quale la disciplina assicurativa per gli infortuni e le malattie professionali?


La risposta a queste domande sono presenti nel n. 36 del settimanale on line “La Circolare di lavoro e Previdenza” che presenta il “Vademecum sul lavoro accessorio”.

Il documento, a cura di Vitantonio Lippolis e Guglielmo Anastasio, è una sintesi di tutto ciò che riguarda la materia:

- Che cos’è il lavoro occasionale accessorio
- Disciplina generale
- La disciplina assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
- Lavoratori utilizzabili
- Settori interessati
- Modalità operative
- La procedura con voucher cartaceo
- La procedura con voucher telematico
- I controlli sul rapporto
- Conclusioni: vantaggi del lavoro accessorio ed aspetti critici

Pubblichiamo un estratto del documento:

Il lavoro occasionale accessorio abbatte ogni limite
Per mezzo di alcune sostanziali modifiche all’impianto originario il Legislatore prova a dare piena operatività al lavoro occasionale di tipo accessorio già previsto dagli articoli compresi tra il 70 ed il 73 del D.Lgs. n. 276/2003. Difatti la sperimentazione dei cosiddetti “buoni lavoro” o “voucher” originariamente prevista in dieci province non ha mai, per vari motivi, preso il via. Adesso con l’ampliamento del campo d’applicazione sia sotto il profilo oggettivo (ampliando il ventaglio di attività nelle quali è possibile farne uso) sia soggettivo (la possibilità di impiego in quest’ambito estesa praticamente a tutti i lavoratori e non più solo ad alcune fasce marginali) il legislatore prova a rilanciare l’istituto con l’intento precipuo di far emergere una buona fetta di lavoro nero che caratterizza lo svolgimento delle attività previste dalla disciplina in questione.

Con l’obiettivo di fornire un quadro analitico ed attualizzato dell’istituto e consentirne così il pronto e proficuo utilizzo da parte dei soggetti interessati, il presente lavoro esamina l’attuale disciplina normativa evidenziando, nel contempo, le principali istruzioni fornite dalla prassi amministrativa nonché alcune fra le principali criticità dell’istituto che la carenza di organicità fa, purtroppo, affiorare.

Che cos’è il lavoro occasionale accessorio
Per prestazioni di lavoro di tipo accessorio s’intendono quelle attività non riconducibili a tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o autonomo, che sono rese nell’ambito delle attività tassativamente indicate dall’art. 702 del D.Lgs. n.276/03 o da soggetti che sono in possesso di determinati requisiti soggettivi. Più in particolare per prestazioni di lavoro accessorio s’intendono attività lavorative svolte in maniera discontinua e saltuaria ed aventi natura meramente occasionale rese nell'ambito:
a) di lavori domestici;
b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti;
c) di insegnamento privato supplementare;
d) di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico;
e) in qualsiasi settore produttivo il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado e compatibilmente con gli impegni scolastici;
f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani di cui alla lettera e), ovvero delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 6333;
g) impresa familiare (art. 230-bis codice civile), limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi;
h) consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica;
i) di qualsiasi settore produttivo da parte di pensionati;
j) in via sperimentale e limitatamente al corrente anno 2009, inoltre, le prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.

Per quanto concerne la caratterizzazione dell’”occasionalità” della prestazione va subito detto che, nella sua originaria stesura, la norma individuava due parametri per la relativa qualificazione: uno temporale ed uno economico.

Successivamente il limite reddituale annuo è stato incrementato ed è scomparso pure il parametro temporale di riferimento; infine, è stato altresì abolito il riferimento al tetto massimo di reddito complessivo per il lavoratore. Si è arrivati così all’attuale formulazione del concetto di occasionalità secondo cui il lavoratore può svolgere questa particolare tipologia di lavoro senza limitazione alcuna in termini di durata e di reddito complessivo, anche con più committenti, avendo cura unicamente di non superare il tetto massimo di 5.000,00 euro di compensi nel corso di ciascun anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre) nei confronti di ogni committente.
In merito a questo tetto, tuttavia, la circolare Inps n. 88/09 ha recentemente precisato che l’importo va inteso al netto dei contributi a carico del lavoratore; per il committente il limite lordo erogabile a favore di ciascun lavoratore risulta, conseguentemente, pari a 6.660,00 euro annui.

Le imprese familiari, invece, come meglio si dirà appresso, possono utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore a 10.000,00 euro, nel corso di ciascun anno fiscale (art. 70, co. 2-bis, D.lgs. n. 276/03).

La disciplina assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
Innanzi tutto va fatto presente che, in linea generale, nei confronti dei lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio, trovano applicazione tanto il D.Lgs. n. 81/08 (Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro) quanto tutte le altre disposizioni speciali vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute. Restano, tuttavia, totalmente esclusi dal campo di applicazione del suddetto Tusl i lavoratori (e conseguentemente i committenti/datori di lavoro che li assumono) “che svolgono piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati ed ai disabili” (Art. 3, co. 8, D.Lgs. n. 81/08).

Per quanto riguarda l’eventualità che si verifichino infortuni o malattie professionali, si fa presente che i prestatori occasionali di tipo accessorio sono coperti, in base agli artt. 2 e 3 del DPR n. 1124/65, dalla relativa assicurazione obbligatoria Inail.
In questo caso le prestazioni assicurative erogate dall’Istituto saranno quelle previste dall’art. 66 del Tuil (DPR n. 1124/65) e dall’art. 13 del D.Lgs. n. 38/00. Ai fini della determinazione delle prestazioni economiche riconosciute a questa categoria di lavoratori, la retribuzione da prendere come riferimento è quella pari al minimale di rendita (attualmente 13.899,90 euro annui); quest’ultima, divisa per 300, costituisce l’imponibile giornaliero per l’erogazione dell’indennità di inabilità temporanea (pari a 46,33 euro per l’anno in corso).
Questa copertura Inail, alle condizioni previste dagli artt. 10 e 11 del Tuil, esonera pertanto il beneficiario delle prestazioni occasionali di tipo accessorio dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro eventualmente occorsi al prestatore di lavoro.

In caso di infortunio o di malattia professionale, il beneficiario ed il prestatore sono tenuti rispettivamente agli adempimenti degli obblighi previsti dagli articoli 52, 53 e 54 del Tuil, nei termini e con le modalità ivi previste. L’unica accortezza necessaria sarà quella di evidenziare, nella denuncia di infortunio, che trattasi di lavoratore soggetto a “voucher” in quanto l’Inail effettua un monitoraggio specifico su questi lavoratori.
Per completezza si fa presente che l’art. 18, co. 1, lett. r) del D.Lgs. n. 81/08 ha introdotto, a carico del datore di lavoro, anche l’obbligo di comunicare all’Inail (per finalità di tipo statistico ed informativo) i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento. Quest’obbligo, tuttavia, decorrerà trascorsi sei mesi dall’entrata in vigore di un apposito decreto interministeriale che verrà adottato ai sensi dell’art. 8, co. 4, del D.Lgs. n. 81/08.”


Download: “Vademecum Lavoro accessorio”, a cura di Vitantonio Lippolis e Guglielmo Anastasio, tratto da “La circolare di Lavoro e previdenza” (formato PDF, 453 kB).

Fonte: puntosicuro.it

lunedì 12 ottobre 2009

Sicurezza, gli obblighi dei lavoratori

I cambiamenti apportati al Testo Unico (D.lgs 81/2008) durante l'estate non ne hanno snaturato i principi di base. Quelli cioè, che la sicurezza sui luoghi di lavoro deve essere considerata un valore e si debba fare tutto il possibile per prevenire i possibili incidenti.

E per far sì che questo avvenga, è necessario che ci sia la collaborazione di tutti: datori di lavoro, preposti (coloro che sovrintendono l'attività lavorativa) e i lavoratori.

Degli obblighi dei datori di lavoro si è parlato più e più volte.

Spetta al datore di lavoro il compito di formare i propri dipendenti, impartire le direttive necessarie a scongiurare un eventuale incidente, fornire le protezioni necessarie, indicare il medico competente eccetera. Soprattutto, cose assolutamente non delegabili, il datore di lavoro ha il compito di effettuare la valutazione dei rischi presenti all'interno dell'azienda e di nominare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.

Ma se tutto questo è noto, meno analizzati sono gli obblighi che spettano ai lavoratori, appositamente designati dall'articolo 20 del Testo Unico.

In primo grado, spetta al lavoratore stesso il compito di prendersi cura della propria salute e, al tempo stesso, anche «di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni».

Ovviamente, tenendo conto alle istruzioni, della formazione e dei mezzi ricevuti dal datore di lavoro.

Più importante è sicuramente il fatto che anche ai lavoratori spetta il compito di contribuire all'adempimento degli obblighi previsti dalle norme.

Per questo devono utilizzare in maniera appropriata le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, i dispositivi di sicurezza e osservare attentamente le disposizioni del datore di lavoro. Nei casi di pericolo, o nella sua eventualità, devono avvertire immediatamente il preposto o il datore e cerca essi stessi di rimuovere la condizione di pericolo. Nessun lavoratore, se adeguatamente formato e informato, può infatti rifiutarsi di collaborare alla gestione delle emergenze. Infine, sono obbligati a partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro.


Per maggiori informazioni circa i nostri corsi di formazione per la sicurezza sul lavoro:

WST Italia Srl - corsi@wstitalia.com - tel: 02/96459201


Newsletter "Sicurezza e prevenzione"

Disponibile on line il numero di settembre di "Sicurezza e prevenzione", newsletter del Ministero del Lavoro. In primo piano il progetto INREGOLA: film e convegni per l’emersione dal lavoro nero e un lavoro sicuro.

Pubblicato un nuovo numero della newsletter “Sicurezza e prevenzione”, notiziario del Ministero del Lavoro dedicato al tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il nuovo numero si apre con la presentazione del Progetto "In regola. Emersione e legalità per un lavoro sicuro", promosso da questo Ministero per attivare iniziative centrate sulla diffusione dell'etica, della legalità, della sicurezza e della regolarità nel lavoro.

Il progetto, realizzato con l'Università Link Campus e il contributo dell'Ires, Istituto di Ricerca Economiche e Sociali, e dell'Elea, Istituto di Formazione, è articolato in attività di ricerca, formazione e comunicazione e consiste nell'attivare iniziative centrate sulla diffusione dell'etica, della legalità, della sicurezza e della regolarità con il coinvolgimento delle parti sociali, delle associazioni di categoria e dei soggetti istituzionali.

L’obiettivo è fornire un contributo concreto alla riduzione del lavoro sommerso e degli infortuni, individuando la dimensione del lavoro nero e sommerso in Italia, il suo rapporto con i fenomeni di illegalità e insicurezza del lavoro, gli elementi di rischio rapportati alla dinamica stessa degli infortuni.  La ricerca è a dimensione nazionale, con un particolare accento e monitoraggio in 5 province: Milano, Venezia, Roma, Napoli, Bari.

La comunicazione è rivolta in primis alle imprese, oltre che ai lavoratori, alle scuole, Enti di formazione, all’opinione pubblica e alle istituzioni.

Vedi: Il sito del Ministero del lavoro “Inregola”

Tra gli altri argomenti in esame, l’attività di vigilanza e ispettiva del Ministero e la salute e sicurezza negli appalti.

Il sommario del numero:

L’attività di vigilanza e ispettiva per la sicurezza
- Il nuovo provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale nel Testo Unico
- Il monitoraggio dei provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale nel primo semestre 2009

La Salute e la Sicurezza negli appalti
Le ragioni e l’evoluzione della disciplina legislativa

Il progetto INREGOLA: la legalità per un lavoro sicuro
- Due esperienze a confronto. Roma punta sul sistema partecipato di gestione del rischio. A Milano, lotta alle infiltrazioni malavitose, al lavoro nero e alle frodi sociali
- Lo stato dell’arte: una fotografia del sommerso in Italia

Scarica: La newsletter (formato PDF, 493 kB).

Fonte: www.puntosicuro.it

In arrivo il "passaporto" formativo per chi lavora nell'edilizia

Sedici ore di formazione per chi entra per la prima volta in un cantiere. E una banca dati che rilascia un libretto che certifica le competenze di ogni singolo operaio.

È lotta agli incidenti nei cantieri
Un corso di formazione obbligatorio di 16 ore e un libretto di formazione - una sorta di "passaporto" che certifica il profilo professionale - per tutti i nuovi lavoratori edili: sono queste le iniziative presentate a Roma, in occasione dell'apertura delle giornate per la formazione nell'edilizia organizzate da INAIL, Formedil (l'Ente nazionale per la formazione e l'Addestramento professionale nell'Edilizia), Ministero del Lavoro e Conferenza Stato-Regioni. Entrambe le iniziative fanno parte delle strategie previste dal contratto nazionale del settore.

La formazione obbligatoria
Secondo quanto stabilito dall'intesa - già operativa in fase sperimentale - tutti gli operai che, per la prima volta, mettono piede in un cantiere sono obbligati a frequentare un corso di preparazione di 16 ore. L'obiettivo - oltre alla finalità primaria di ridurre la possibilità di infortuni - è anche agevolare l'impatto iniziale tra lavoratore e azienda. Dopo i primi otto mesi di prova, hanno già frequentato i corsi oltre 15mila "allievi", appartenenti a circa 13mila aziende.
Tra gennaio e settembre 2009, pertanto, una quota rilevante dei nuovi ingressi nel settore ha ricevuto una formazione professionale di base utile a riconoscere i rischi del mestiere: una sensibilizzazione a una cultura della sicurezza che andrà di pari passo con la crescita professionale degli interessati.

Le 16 ore sono, infatti, il punto di partenza di un cammino formativo che intende accompagnare nel tempo un operaio, rappresentando non solo una prima garanzia della qualità delle risorse umane, della regolarità dei rapporti contrattuali e della sicurezza, ma anche un mezzo innovativo per "intercettare" e dare delle prime competenze di base a tutti i nuovi lavoratori.

"Per le parti sociali l'avvio di questa innovazione contrattuale rappresenta il primo passo per la costruzione di un percorso di formazione continua", sottolinea il presidente di Formedil, Massimo Calzoni, "in grado di garantire una specifica e adeguata formazione alla sicurezza per tutte le figure e a tutti i ruoli professionali.

Per questo abbiamo deciso di legare le 16 ore a un'altra iniziativa oggi al centro dell'attenzione anche del governo e del Parlamento: la creazione del Libretto formativo del lavoratore, già previsto dalla legge Biagi e che viene rilanciato dal recente decreto legislativo 106 pubblicato lo scorso 5 agosto".

Il libretto formativo
Alla base del libretto vi è la creazione di una banca dati dove sono inseriti tutti i lavoratori con le loro rispettive competenze. "Si tratta di una sorta di schedatura", ha continuato Calzoni, "che garantisce trasparenza e qualità". Secondo Formedil ogni anno saranno monitorati circa 100mila persone: una strategia all'insegna della trasparenza e della tracciabilità in grado di incidere anche sull'emersione del lavoro nero. Il "libretto formativo" - un documento che fornisce un profilo completo e aggiornato del percorso professionale di ciascun operaio - rappresenterà il punto terminale di questo percorso.

Ma come è organizzato questo percorso? Con la banca dati verrà garantito da parte di tutte le scuole, entro la fine del 2009, il censimento delle competenze di ogni singolo lavoratore sulla base di un repertorio nazionale condiviso: ciò consentirà di monitorare costantemente l'offerta formativa di settore, nonché di conoscere e seguire in tempo reale i suoi utenti. Dall'inserimento e dall'elaborazione dei dati relativi al curriculum, anagrafico e professionale, dei corsi realizzati a quelli delle esperienze di lavoro (questi ultimi incrociati con i repertori delle competenze e delle unità didattiche): saranno questi i contenuti del Libretto che - rilasciato dalla scuola edile nell'ambito della prima occasione formativa come stampa automatica della posizione dell'utente risultante dalla banca dati - verrà continuamente aggiornato e sarà in continua evoluzione (la responsabilità di aggiornamento è della scuola che di volta in volta lo rilascia al lavoratore, che deve provvedere a sostituirlo al vecchio).

Questa modalità operativa, infine, contribuirà in modo determinante a contrastare il lavoro irregolare e consentirà al sistema paritetico di conoscere in tempo reale il valore professionale del proprio patrimonio umano, da sempre la principale risorsa dell'industria delle costruzioni. "A breve, ne avvieremo la sperimentazione, partendo proprio dai lavoratori neo-assunti che hanno frequentato e frequenteranno i corsi delle 16 ore", ha concluso Calzoni.

Fonte: www.inail.it


Per maggiori informazioni circa i nostri corsi di formazione per la sicurezza sul lavoro:

WST Italia Srl - corsi@wstitalia.com - tel: 02/96459201


Verificare la sicurezza delle macchine: il ruolo del datore di lavoro

Disponibili in rete materiali tratti da convegni che affrontano il D.Lgs. 81/2008 alla luce della nuova direttiva macchine. L’evoluzione del regime di verifiche delle attrezzature di lavoro. La normativa e i controlli necessari.

Si sono tenuti in questi ultimi mesi diversi convegni sulla nuova direttiva macchine 2006/42/CE. Ad esempio il convegno ISPESL “La nuova politica della sicurezza: D.lgs. 81/08 e successive modifiche. Primi elementi di valutazione della Direttiva Macchine” che si è tenuto a Moasca (AT) e di cui abbiamo già presentato gli atti.

Questi convegni cercano di evidenziare le future integrazioni tra le disposizioni legislative del Decreto legislativo 81/08 e la nuova Direttiva Macchine 2006/42/CE, direttiva che entrerà in vigore in tutta Europa il 29 dicembre 2009.
Sperando di essere di utilità ai nostri lettori approfondiamo uno degli interventi che si sono tenuti a Moasca: “Evoluzione della normativa relativa alle attività di verifica” dell’Ing. Vittorio Mazzocchi.

Nota: l'intervento presentato è precedente all'entrata in vigore delle modifiche apportate al decreto legislativo 81/2008 dal decreto legislativo 106/2009, modifiche che però non cambiano gli obblighi fondamentali del datore di lavoro evidenziati nella relazione.

Il relatore ha ricordato come “la necessità di prevedere verifiche sul funzionamento di macchine ed attrezzature di lavoro è sempre stata connessa con la necessità di assicurare sicurezza e salute sui luoghi di lavoro”.
Chiaramente intendendo, in questo caso, la verifica non come “accertamento delle caratteristiche costruttive e delle performance di determinate attrezzature di lavoro”, bensì come “conferma di condizioni d’impiego coerenti con i requisiti di salute e sicurezza previsti per le varie attività lavorative”.

Questa filosofia “a partire dalle direttive di prodotto ha anche permeato la stessa progettazione e fabbricazione delle attrezzature di lavoro stabilendo un legame prioritario tra requisiti di costruzione e quelli di sicurezza, facendo precedere la costruzione da un analisi dei rischi in funzione di alcuni requisiti essenziali di sicurezza (RES)”: una volta verificata “la rispondenza della progettazione a tali RES, si passa alla fase realizzativa e quindi alla messa in esercizio”.
Le successive verifiche servono a “stabilire la permanenza in esercizio dei RES fissati in progettazione in funzione anche degli altri RES propri delle attività di lavoro per la quale una determinata attrezzatura o macchina viene utilizzata”.

Dopo essersi soffermato sul regime verifiche ante Decreto legislativo 81/2008 (“vigeva un sistema che prevedeva una serie di verifiche obbligatorie a scadenza stabilita effettuate da organismi pubblici”) l’intervento ricorda che a seguito dell’entrata in vigore delle direttive di prodotto e dei relativi decreti di recepimento (D.P.R. n. 459/96 per la direttiva macchine e D.Lgs. 93/00 per la direttiva 97/23/CE PED) le attività di omologazione statale sono state “soppresse a favore delle attività di certificazione della conformità affidate ad Organismi privati (Organismi Notificati) o in alcuni casi agli stessi fabbricanti”.

Fino al D.Lgs. 626/94 il datore di lavoro era per lo più “un soggetto scarsamente collegato alle dinamiche del controllo delle condizioni di sicurezza e dell’ambiente di lavoro nel quale lavoratori e attrezzature permettevano la realizzazione dei manufatti”.
È infatti soltanto con il D.Lgs. 81/2008 che “il ruolo del datore di lavoro diventa centrale nella predisposizione di condizioni di sicurezza durante tutte le fasi dell’attività lavorativa, condizioni queste assicurate da un analisi di tutti i rischi in essa presenti la cui realizzazione è esclusiva e non derogabile responsabilità proprio del datore di lavoro (artt. 17 e 28)”.

Ecco le regole poste dall’art.70 del D.Lgs. 81/2008 (sono evidenziate le modifiche apportate al comma 4 dal D.Lgs 106/09):

 Art. 70.
Requisiti di sicurezza

1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto.
2. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all'emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V.
3. Si considerano conformi alle disposizioni di cui al comma 2 le attrezzature di lavoro costruite secondo le prescrizioni dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 395 del decreto Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ovvero dell'articolo 28 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
4. Qualora gli organi di vigilanza, nell’espletamento delle loro funzioni ispettive, in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, accertino che un’attrezzatura di lavoro messa a disposizione dei lavoratori dopo essere stata immessa sul mercato o messa in servizio ai sensi della direttiva di prodotto, in tutto o in parte, risulta non rispondente a uno o più requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 2, ne informano immediatamente l’autorità nazionale di sorveglianza del mercato competente per tipo di prodotto. In tale caso le procedure previste dagli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre1994, n. 758, vengono espletate:
a) dall’organo di vigilanza che ha rilevato la non rispondenza in sede di utilizzo, nei confronti del datore di lavoro utilizzatore dell’esemplare di attrezzatura oggetto dell’accertamento, mediante apposita prescrizione a rimuovere la situazione di rischio determinata dalla mancata rispondenza ad uno o più requisiti essenziali di sicurezza;
b) dall’organo di vigilanza territorialmente competente, nei confronti del fabbricante e dei soggetti della catena della distribuzione, alla conclusione dell’accertamento tecnico effettuato dall’autorità nazionale per la sorveglianza del mercato.


Sostituito da:
  4. Qualora gli organi di vigilanza, nell’espletamento delle loro funzioni ispettive in materia di salute e sicurezza sul lavoro, constatino che un’attrezzatura di lavoro, messa a disposizione dei lavoratori dopo essere stata immessa sul mercato o messa in servizio conformemente alla legislazione nazionale di recepimento delle direttive comunitarie ad essa applicabili ed utilizzata conformemente alle indicazioni del fabbricante, presenti una situazione di rischio riconducibile al mancato rispetto di uno o più requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1, ne informano immediatamente l’autorità nazionale di sorveglianza del mercato competente per tipo di prodotto. In tale caso le procedure previste dagli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, vengono espletate:
   a) dall'organo di vigilanza che ha accertato in sede di utilizzo la situazione di rischio, nei confronti del datore di lavoro utilizzatore dell'esemplare di attrezzatura, mediante apposita prescrizione a rimuovere tale situazione nel caso in cui sia stata accertata una contravvenzione, oppure mediante idonea disposizione in ordine alle modalità di uso in sicurezza dell’attrezzatura di lavoro ove non sia stata accertata una contravvenzione;
   b) dall'organo di vigilanza territorialmente competente rispettivamente, nei confronti del fabbricante ovvero dei soggetti della catena della distribuzione, qualora, alla conclusione dell'accertamento tecnico effettuato dall'autorità nazionale per la sorveglianza del mercato, risulti la non conformità dell’attrezzatura ad uno o più requisiti essenziali di sicurezza previsti dalle disposizioni legislative e regolamentari di cui al comma 1 dell’articolo 70.”.

E chi sono oggi i soggetti delegati alle verifiche ed ai controlli?
“Datori di lavoro, organismi privati competenti, organismi pubblici (a seconda delle finalità delle verifiche e dei controlli)”.

Un esempio dei controlli comuni per tutte le attrezzature di lavoro.
Intanto “è precisa responsabilità dei datori di lavoro quella di fornire attrezzature di lavoro sicure ai lavoratori” e sono di sua competenza tutti quei controlli capaci di assicurare questo obiettivo:
- “installazione ed utilizzazione in conformità all’uso;
- appropriata manutenzione;
- misure di aggiornamento dei Requisiti minimi di sicurezza stabiliti con specifico provvedimento regolamentare”.
In caso poi di “attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende dalle condizioni d’installazione, esse saranno sottoposte ad un controllo iniziale (dopo l’installazione e prima della messa in servizio) ed ad un controllo dopo ogni montaggio in un nuovo cantiere o in una nuova località d’impianto al fine di assicurarne l’installazione corretta e il buon funzionamento”.
Le attrezzature “soggette ad influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose” devono  poi essere sottoposte:
- ad interventi di controllo "periodici stabiliti in base alle indicazioni del fabbricante ovvero dalle norme di buona tecnica o in assenza di quest’ultime desumibili dai codici di buone prassi";
- ad interventi di controllo "straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudiziali per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni, trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi di prolungata inattività”.
Controlli che devono essere svolti da personale competente.

Inoltre per alcuni tipi di attrezzature di lavoro (riportate nell’allegato VII al decreto), il “datore di lavoro deve sottoporre le stesse a verifiche periodiche con la frequenza indicata nello stesso allegato”: la prima di tali verifiche è effettuata dall’ISPESL e le successive dalle ASL (art.71 comma 11).

Rispetto all'intervento dell’Ing. Vittorio Mazzocchi, è importante sottolineare come il decreto legislativo 106/2009 ha modificato proprio il comma 11 dell'articolo 71. Infatti, appurato che in alcune zone del territorio l’ISPESL non riesce a garantire tempi rapidi per l’omologazione degli impianti creando una situazione che può ripercuotersi sulle aziende (in assenza di omologazione infatti l’azienda non potrebbe utilizzare il bene da omologare e da questo ne potrebbe derivare un danno economico),   il decreto 106/09 prevede che, se L’ Ispesl non interviene per omologare in 60 giorni, ci si può rivolgere alle ASL o a soggetti pubblici e privati abilitati (le modalità di abilitazione usciranno con futuro decreto).
 
11. "[...] La prima di tali verifiche è effettuata dall’ISPESL che vi provvede nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi delle ASL e o di soggetti pubblici o privati abilitati con le modalità di cui al comma 13. Le successive verifiche sono effettuate dai soggetti di cui al precedente periodo, che vi provvedono nel termine di trenta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati, ...”.

Dunque per i controlli il datore di lavoro con la nuova normativa sulla sicurezza è responsabile “della loro attuazione, e del loro esito avendo lui stesso scelto il soggetto competente”.
Riguardo alle verifiche il datore di lavoro è invece “responsabile solo della loro attuazione alla scadenza prefissata (Allegato VII)”.

Dopo essersi soffermato anche sulle verifiche legate alla Vigilanza (art.13), sulla Sorveglianza del Mercato e sui soggetti privati autorizzati alle verifiche, l’intervento conclude che, in relazione all’evoluzione del regime delle verifiche avvenuto negli ultimi cinquanta anni in Italia, “ad una sostanziale continuità dei controlli previsti corrisponde una diversa attribuzione di competenze per i soggetti verificatori, nonché una ridefinita figura del datore di lavoro che si pone ora quale responsabile attivo della sicurezza e della salute sui luoghi di lavoro”.

- “Evoluzione della normativa relativa alle attività di verifica”, V. Mazzocchi - I.S.P.E.S.L./D.T.S. (formato PDF, 134 kB);

Tiziano Menduto

Fonte: www.puntosicuro.it

Quali sanzioni con il correttivo D.Lgs. 106/09?

Chiarimenti circa l’importo delle sanzioni da versare in caso di contestazione sia prima che dopo il 20 agosto nella stessa azienda. Si applicano le sanzioni previste dal d.lgs. 81/08 originale o quelle modificate dal 106/2009?

Quesito
Tra le molteplici modifiche apportate al testo originario del D. Lgs. n. 81/2008 il D. Lgs. n. 106 del 3/8/2009 contenente “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” ha previsto la riduzione degli importi delle sanzioni.
Ora qualora una contestazione ex D. Lgs. 758/1994 sia avvenuta in regime ante D. Lgs. 106/2009, cioè quando erano in vigore i dettami originali del D. Lgs. n. 81/2008, e la rivisita sia avvenuta invece successivamente alla data del 20/8/2009 è necessario per l’ammissione al pagamento delle sanzioni tener conto della palese riduzione degli importi o si deve comunque fare riferimento alle vecchie sanzioni (molto più onerose per il contravventore)?

Risposta
E come al solito quando subentrano delle nuove disposizioni che rivedono la entità delle sanzioni per le violazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro e mancano specifiche indicazioni fornite dal legislatore, ci si pone la domanda su quali sono le sanzioni da applicare per quelle violazioni che sono state già contestate prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni.
Il D. Lgs. 3/8/2009 n. 106, come è noto, ha ridotto in generale le sanzioni per le violazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro introducendo altresì un meccanismo di rivalutazione nel tempo sia delle ammende che delle sanzioni amministrative pecuniarie da attuare ogni cinque anni, a far data dal 20/8/2009, data di entrata in vigore del decreto correttivo, ed in misura pari all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per il corrispondente periodo (comma 4-bis dell’art. 306 del D. Lgs. n. 81/2008 così come introdotto dal D. Lgs. n. 106/2009).

Il quesito formulato si riferisce a delle violazioni contestate dall’organo di vigilanza e quindi a delle prescrizioni impartite ai sensi del D. Lgs. n. 758/1994 ancor prima dell’entrata in vigore del decreto correttivo e, dovendo ora lo stesso organo di vigilanza, se le violazioni fossero state eliminate, ammettere il contravventore al pagamento della sanzione ridotta, la domanda che ci si pone è quindi se il quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 758/1994, debba riferirsi alle vecchie sanzioni, più onerose per il contravventore, o alle nuove sanzioni a lui più favorevoli.
In tali circostanze si ritiene che possa applicarsi l’art. 2 del codice penale, sulla successione delle leggi penali, secondo il quale:

“Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.”

Tale articolo, quindi, fa esplicito riferimento ai casi in cui non sia stata ancora pronunciata una sentenza irrevocabile per cui si è del parere che nel caso di cui al quesito formulato ed in tutti quei casi analoghi nei quali la procedura di estinzione del reato prevista dal D. Lgs. n. 758/1994 sia ancora in corso si debba ammettere il contravventore al pagamento del quarto del massimo delle nuove sanzioni se più favorevoli allo stesso e si dovrà invece continuare a fare riferimento alle vecchie sanzioni nel caso in cui le nuove disposizioni abbiano introdotto un incremento delle sanzioni medesime. Si è del parere, infine, che se il reato già contestato non fosse più considerato tale dalle nuove disposizioni di legge la contestazione fatta dall’organo di vigilanza, sempre proprio per il sopraindicato principio del “favor rei” di cui all’art. 2 del Codice Penale, vada annullata e nel caso in cui tale contravvenzione fosse stata già portata a conoscenza dell’A. G. lo stesso organo di vigilanza debba informare quest’ultima del sopraggiungere delle nuove disposizioni sulle sanzioni affinché possa prendere le decisioni di competenza

Fonte: www.porreca.it

lunedì 5 ottobre 2009

Riconoscere e affrontare il mobbing nei luoghi di lavoro

Il mobbing è una delle cause principali delle patologie da stress lavoro correlato, per questo motivo segnaliamo sempre con piacere materiale informativo nuovo sull’argomento, cercando di volta in volta di approfondirne qualche aspetto diverso.

Il documento alla nostra attenzione si intitola “Il mobbing: opuscolo informativo” ed è stato realizzato dall'AUR, Agenzia di ricerca della Regione Umbria, e curato da Giuliano Bussotti.

L’opuscolo, che prende spunto dal progetto intitolato “Azioni di informazione e ricerca: sensibilizzazione sulla disciplina del Mobbing, informazione (formazione) sul fenomeno nel contesto regionale umbro di riferimento” e dalla Legge Regionale n. 18 del 28 febbraio 2005, vuole informare i lavoratori e le lavoratrici sul significato e sulle caratteristiche del mobbing “per contribuire ad eliminare il fenomeno, o quanto meno per aiutare a riconoscerlo e a difendersene”.

Nel capitolo in cui si affrontano le tipologie del mobbing il documento indica che “in un atteggiamento teso verso il mobbing, gli esperti riconoscono i seguenti elementi:
  • il comportamento negativo sistematico;
  • la ripetizione costante nel tempo;
  • lo squilibrio del potere tra mobber e mobbizzato;
  • l’intento e la strategia delle azioni, tutte mirate ad estromettere dal lavoro”.
Inoltre si possono distinguere vari tipi di mobbing:
  • “strategico: il comportamento sopra descritto è programmato dall’azienda o dai suoi vertici, con il preciso scopo di allontanare dal lavoro uno o più dipendenti;
  • emozionale: il comportamento è posto in atto da due o più colleghi della vittima, per varie ragioni: rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, etc.;
  • un mobbing che diviene un comportamento tra colleghi per ambizioni di carriera (mobbing orizzontale), o tra un superiore e un subordinato ritenuto scomodo e pericoloso per il non rispetto gerarchico (mobbing verticale)”.

Ma come si sviluppa il mobbing?

Se è vero che “ogni luogo di lavoro attraversa fasi di conflittualità”, il “mobbing è altro e di più”. Si riconosce se il “conflitto prosegue oltre un arco temporale grosso modo triplo rispetto ad un conflitto normale”.

Queste le fasi che questo fenomeno può affrontare secondo il modello italiano Ege:
  • fase 1: il conflitto diventa mirato verso una vittima;
  • fase 2: “si avverte un cambiamento nel clima di lavoro, che rappresenta l’inizio del mobbing: ogni comportamento viene realizzato, in maniera esplicita o subdola, per attaccare la vittima sul piano lavorativo e personale”;
  • fase 3: la vittima accusa i primi sintomi psicosomatici;
  • fase 4: mancato intervento dei responsabili del personale e altri dirigenti aziendali (forse non conoscono/riconoscono il mobbing o, in alcuni casi, “sono essi stessi a metterlo in pratica”);
  • fase 5: aggravamento della salute psicofisica della vittima;
  • fase 6 : conseguente esclusione del dipendente dal mondo del lavoro.

Fonte: puntosicuro.it

Gli obblighi del lavoratore autonomo prestatore d’opera o di servizi

Gli obblighi del lavoratore autonomo prestatore d’opera o di servizi secondo le disposizioni di cui al D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Da una prima e superficiale lettura dell’art. 21 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, sembrerebbe che i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 del codice civile siano obbligati ad ottemperare esclusivamente a quegli adempimenti indicati esplicitamente nel comma 1 dello stesso articolo e cioè ad utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III del D. Lgs. n. 81/2008 (lettera a), a munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III dello stesso D. Lgs. (lettera b) ed a munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, nel caso in cui effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto (lettera c).

Le cose però non stanno così e ciò discende da un esame più approfondito e da una lettura più integrale del citato D. Lgs. n. 81/2008, né avrebbe senso una interpretazione delle disposizioni di legge così limitativa anche alla luce degli indirizzi forniti dalla legge delega 3/8/2007 n. 123 e della logica della prevenzione in base alla quale deve essere garantita la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori e di tutti coloro che prestano la propria attività lavorativa nei luoghi di lavoro.

Si osserva preliminarmente che le disposizioni contenute nel D. Lgs. n. 81/2008, secondo quanto indicato nell’art. 3 comma 4 dello stesso decreto e relativo al suo campo di applicazione, “si applica a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del presente articolo” il quale al comma 11 precisa in più che “nei confronti dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del codice civile si applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e 26“.

E’ evidente quindi che il legislatore, anche per dar corso alle indicazioni contenute nella già citata legge delega n. 123/2007, ha voluto, ai fini della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e dell’applicazione delle norme di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, equiparare i lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del codice civile agli altri lavoratori imponendo di conseguenza a questi gli stessi obblighi che il decreto medesimo pone a carico di tutti gli altri lavoratori, fermo restando ovviamente il rispetto delle disposizioni che sono ad essi destinati specificatamente e contenute sia nell’art. 21, che detta delle prescrizioni specifiche oltre che per i componenti delle imprese familiari anche per i lavoratori autonomi, che nell’art. 26 il quale impone degli obblighi a carico anche degli stessi lavoratori autonomi nel caso di contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione.

Da quanto sopra detto sembra evidente quindi che il lavoratore autonomo debba adempiere agli obblighi che il D. Lgs. n. 81/2008 con l’art. 20 pone a carico di tutti i lavoratori. In tale articolo, peraltro, al comma 1 viene precisato che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quelle delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gi effetti delle sue azioni o omissioni” e fra i suddetti obblighi è possibile riscontrare appunto al comma 2 lettera h) quello di partecipare ai programmi di formazione e di addestramento ed al comma 2 lettera i) quello di sottoporsi ai controlli sanitari previsti dallo stesso D. Lgs. o comunque disposti dal medico competente.

La convinzione, a dire il vero abbastanza diffusa, che il lavoratore autonomo non abbia l’obbligo di sottoporsi alla formazione ed alla sorveglianza sanitaria in relazione ai rischi della propria attività lavorativa deriva da quella che si ritiene una imprecisione del legislatore che li avrebbe dovuti inserire esplicitamente nell’articolo 21 del D. Lgs. n. 81/2008 assieme agli obblighi in esso elencati al comma 1 nonché da una frettolosa lettura del comma 2 dello stesso articolo che indica che i soggetti di cui al comma 1, fra i quali appunto i lavoratori autonomi, hanno facoltà di:
“a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali”.

E’ del tutto evidente ora che la facoltà che il legislatore esprime al comma 2 non è quella di sottoporsi alla sorveglianza sanitaria in relazione ai rischi specifici della propria attività ed alla formazione incentrata sui rischi medesimi, che come già detto si ritengono obbligatorie, bensì di poter “beneficiare”, per dar corso alla sua autotutela, della sorveglianza sanitaria sottoponendosi a visita medica, a proprie spese, da parte del medico competente del datore di lavoro che lo ospita, così come avviene per qualsiasi altro lavoratore che è alle sue dipendenze, e di poter altresì “partecipare”, sempre a sue spese, ai corsi di formazione specifica in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ai quali il datore di lavoro che lo ospita avvia i propri lavoratori dipendenti.

Una conferma di quanto sopra sostenuto in merito agli obblighi che il Testo Unico ha inteso porre a carico dei lavoratori autonomi discende, infine, dalla lettura dell’allegato XVII al Testo Unico medesimo riportante la documentazione che sia le imprese che i lavoratori autonomi devono rilasciare, in caso di appalto, al datore di lavoro committente prima dell’inizio dei lavori al fine di consentire allo stesso la verifica della loro idoneità tecnico-professionale prevista dall’art. 26 comma 1 lettera a) del D. Lgs. n. 81/2008, riportante gli obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione, e per quanto riguarda i cantieri temporanei o mobili prevista dall’art. 90 comma 9 lettera a) a carico del committente per conto del quale viene realizzata l’intera opera.

In tale allegato XVII, infatti, al comma 2 fra la documentazione che i lavoratori autonomi devono almeno esibire al committente vengono esplicitamente indicati alla lettera d) gli “attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dal presente decreto legislativo”, documentazione che nel caso dei cantieri temporanei o mobili il committente è obbligato fra l’altro a trasmettere, ai sensi dell’art. 90 comma 9 lettera c) all’amministrazione competente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività.

Con la lettura dell’allegato XVII il quale, benché richiamato esplicitamente dal Titolo IV per la verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese operanti nei cantieri temporanei o mobili, si deve intendere applicabile, essendo contenuto nell’ambito dello stesso Test Unico, anche per la verifica tecnico-professionale di tutte le attività imprenditoriali di cui all’art. 26 del Titolo I dello stesso D. Lgs. si ritiene in definitiva che non ci sia più spazio per qualsiasi altra interpretazione e che sia stato definitivamente sciolto qualsiasi dubbio in merito agli obblighi a carico dei lavoratori autonomi sia della sorveglianza sanitaria, se necessaria, che della formazione specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Fonte: porreca.it

Condominio: obblighi di sicurezza

Quali obblighi di sicurezza sono a carico del condominio?

Ai sensi dell’art. 3, comma 9, del d.lgs. n. 81/2008, nei confronti del lavoratori che rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari dei fabbricati trovano applicazione gli obblighi di informazione e di formazione di cui agli artt. 36 e 37. Inoltre, sempre secondo la norma appena citata, ad essi devono essere forniti i necessari dispositivi di protezione individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali
attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III.


Chi è tenuto ad adempiere agli obblighi di sicurezza che gravano sul condominio?

Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale ha già chiarito, successivamente all’emanazione del d.lgs. n. 626/94, con la circolare 5 marzo 1997, n. 28, che il datore di lavoro nei condomini, ai fini dell’applicazione degli obblighi attualmente previsti nel citato art. 3, comma 9, va individuato nella persona dell’amministratore condominiale protempore. La locuzione “lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato” va intesa, come specificato con la circolare 5 marzo 1998 n. 30, con riferimento, otre che ai portieri, anche a tutti i lavoratori subordinati che prestino la loro attività nell’ambito di un condominio, purché con mansioni affini a quelle dei portieri. Si segnala che la individuazione del campo di applicazione delle disposizioni in parola andrà effettuata alla luce della definizione di “lavoratore” data dall’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 81/2008.


Quali obblighi gravano sul condominio in caso di affidamento di lavori a ditte appaltatrici o a lavoratori autonomi?

Sul condominio come luogo di lavoro per il personale delle ditte appaltatrici la titolarità degli obblighi di sicurezza di cui al d.lgs. n. 81/2008 dipende dalla qualificabilità o meno del condominio come datore di lavoro. Infatti, sul condominio in persona del suo legale rappresentante gravano gli obblighi previsti a carico del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati del condominio e, in caso di affidamento dei lavori all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomiall’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, ai sensi dell’art. 26, la cooperazione e il coordinamento in merito all’attuazione delle misure di prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto e il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dei rischi cui sono esposti i lavoratori, con l’elaborazione di un unico documento di valutazione dei rischi (DUVRI) che indichi le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo il rischio di interferenze, che deve essere allegato al contratto di appalto o di opera. Tutti gli obblighi di sicurezza previsti nel citato decreto gravano sui datori di lavoro aventi sede operativa nell’edificio. Diversamente, nel caso in cui il condominio commissioni, nella forma di contratto di appalto, lavori edili o di ingegneria civili ricadenti nel campo di applicazione del Titolo IV del d.lgs. n. 81/2008 sui cantieri mobili o temporanei, l’amministratore è necessariamente qualificato come committente e come tale assoggettato agli obblighi di cui agli artt. 88 e seguenti del medesimo testo normativo.


Ai fini della redazione del DUVRI è richiesta l’acquisizione della valutazione del rischio delle ditte affidatarie dei lavori all’interno del condominio?

L’art. 26, comma 2, lett. b), prevede a carico dei datori di lavoro un obbligo di “informazione reciproca anche al fine di eliminare rischi dovuti ad interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva”, mentre, ai sensi del successivo comma 3 dell’articolo citato, le disposizioni riguardanti la redazione del DUVRI non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Alla luce di quanto sopra, non è richiesta la produzione integrale della valutazione dei rischi ai fini della redazione del DUVRI da parte del legale rappresentante del condominio.


Fonte: Ministero del Lavoro 


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D.Lgs 106/09: cosa è cambiato

Dal 20 agosto è in vigore il provvedimento correttivo del Testo Unico sulla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. 

Approvato dal Consiglio dei ministri il 31 luglio e pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 5 agosto, il correttivo modifica in più parti il Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008), opera del passato Governo che a distanza di 14 anni dall’ultimo intervento organico di disciplina (la famosa «626», il dlgs n. 626/1994) l’ha portato alla luce sulla base della legge delega n. 127/2007. Dopo un lungo letargo, dunque, la sicurezza del lavoro vive un altro mattino di rinascita: in due anni, due governi, due riforme. Resta strano – meglio dirlo subito – il fatto che dai due interventi di riforma emergono, quasi diametralmente opposti, due modi di concepire il sistema della sicurezza in azienda, nonostante traggano origine (e legittimità) dalla stessa legge delega (la n. 127/2007). Ma procediamo con ordine.

L’attuale riforma è frutto del Governo in carica che ha voluto perseguire due obiettivi fondamentali. Primo: correggere gli errori materiali e tecnici presenti nella prima versione del Tu. La complessità del quadro dispositivo – il Tu è composto di ben 306 articoli ed è corredato di molti allegati – ha infatti dato luogo ad incertezze interpretative che necessitavano di una bussola orientativa non soltanto per le imprese ma anche per gli ispettori, chiamati a vigilare, e soprattutto a collaborare con le aziende sul rispetto delle misure di prevenzione. Secondo obiettivo: superare le difficoltà operative e le criticità che si sono evidenziate nei primi mesi di applicazione del Tu. Per dirne una, il correttivo elimina l’equiparazione che esisteva tra lavoratori subordinati e lavoratori volontari, garantendo a questi ultimi una tutela rafforzata con la previsione di norme specifiche.

Le novità emergono più facilmente se si osserva la riforma da un’angolatura più analitica. Il nuovo corpo delle norme, prima di tutto, risulta ora ridefinito in considerazione delle caratteristiche delle piccole e medie imprese. Tiene conto, inoltre, delle peculiarità delle forme di lavoro atipico e temporaneo (cosiddetto lavoro «precario», finora troppo precario anche sulla sicurezza sul lavoro), riconoscendo una particolare tutela che parte dall’obbligo del datore di lavoro di riservare una attenzione specifica a tali lavoratori in sede di valutazione dei rischi.

Altra novità è l’introduzione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, al fine di controllare che nei settori a particolari rischi infortunistici operino unicamente soggetti rispettosi delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il sistema comincerà a funzionare nel settore edile per mezzo dell’istituzione di una «patente a punti»: uno strumento, cioè, che utilizzerà il criterio semplice dei «punti» (sperimentanti per la patente guida) allo scopo di verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese e lavoratori autonomi del settore edile (la valutazione prende in considerazione le attività di formazione e l’assenza di sanzioni emesse dagli ispettori).

Altra novità di rilievo è il superamento dell’approccio meramente formalistico e burocratico al tema salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: le nuove norme prestano maggiore attenzione ai profili sostanziali, mirando ad un approccio per obiettivi e non solo per regole. Un esempio? Fermo restando l’inderogabile obbligo per ogni impresa di valutare tutti i rischi per la salute e sicurezza dei propri lavoratori, è stata semplificata la procedura per dare prova dell’avvenuta elaborazione del documento sulla valutazione dei rischi. Il problema riguardava la «data certa» di cui fornire il documento: d’ora in avanti le imprese, specie se piccole e medie, pur essendo tenute a elaborare il documento «senza sconti» quanto alla sua completezza e alla puntualità del suo aggiornamento, potranno evitare di andare da un notaio o di munirsi di posta elettronica certificata (come la norma di fatto imponeva prima), perché si potrà dimostrare la data della valutazione dei rischi con la firma di quanti, assieme al datore di lavoro (rappresentante lavoratori, medico competente, responsabile servizio prevenzione e protezione, etc.), sono coinvolti nella tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

Ultima novità – non per ordine d’importanza, anzi – è il superamento dell’azione squisitamente sanzionatoria e repressiva contemplata dal primo Tu. Il correttivo, infatti, con una virata a 180 gradi rispetto alle precedenti coordinate, s’indirizza ora nel prestare maggiore attenzione alla prevenzione che vuol dire: formazione, informazione, coordinamento nella programmazione della vigilanza, uso mirato dei poteri da parte degli organi di vigilanza, pene severe (compreso lo stop dell’attività) alle aziende insicure. Chiede insomma la corresponsabilità di tutti gli operatori del mondo del lavoro (ai datori di lavoro, ai lavoratori, ai collaboratori, agli organi di vigilanza).

Complessivamente considerato, il nuovo intervento di riforma conduce sicuramente al risultato di cambiare la filosofia di gestione del sistema sicurezza in azienda. La prima versione del Tu – in vigore dal 2008 e voluta dal passato Governo di sinistra – era ispirata dalla logica: più sanzioni e vincoli uguale lavoratori più tutelati. Invece l’attuale versione – voluta dal Governo di centro destra in carica – ruota attorno all’idea: la sicurezza sul lavoro è frutto della corresponsabilità di tutti gli operatori del mondo del lavoro. Un risultato (dunque una riforma) azzeccato! Inasprire le sanzioni o aumentare gli adempimenti (specie quando si riducono a meri «formalismi»), lo dice l’esperienza, non ha mai aiutato la società alla crescita etica nel rispetto reciproco dei ruoli (aziende, lavoratori e stato).

Fonte: L'Occidentale

Cosa si intende per rischio nei luoghi di lavoro?

Concetti essenziali per comprendere la valutazione dei rischi

Non cambia la definizione del rischio contenuta nell’art. 2, comma 1 lettera s, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 rispetto a quella contenuta nel decreto legislativo 626/94 al quale va riconosciuto il merito di aver introdotto nel nostro Paese una nuova filosofia in materia di tutela della salute dei lavoratori il cui asse portante è sicuramente rappresentato dalla valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, laddove la valutazione è da considerarsi come momento iniziale di un processo che interessa tutta l’organizzazione della produzione che va razionalizzata e pianificata al fine di raggiungere l’obiettivo di una sostanziale e progressiva eliminazione o, almeno, riduzione del rischio.

Nel linguaggio comunemente usato il termine “pericolo”, che rappresenta la proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni, viene confuso con il termine rischio.

La “Norma UNI EN 292 PARTE I/1991” definisce il pericolo come fonte di possibili lesioni o danni alla salute ed il rischio come combinazione di probabilità e di gravità di possibili lesioni o danni alla salute in una situazione pericolosa.

È fondamentale, quindi, distinguere tra i concetti di pericolo e di rischio che risultano sostanzialmente diversi in quanto il pericolo contiene in sé la certezza del verificarsi dell’evento avverso mentre il rischio implica solo la possibilità, con la conseguenza che il rischio non potrà essere eliminato finché esisterà una sorgente di pericolo. Il comma 1 dell’art. 15 del nuovo decreto legislativo stabilisce, tra le misure generali di tutela nei luoghi di lavoro, la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, la programmazione della prevenzione e l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico.

Tali riferimenti al progresso tecnico inducono a ritenere che la tutela che deve essere garantita al lavoratore non è il risultato di una valutazione statica basata soltanto sulla normativa in vigore bensì di un processo dinamico che obbliga il datore di lavoro a quel salto di qualità nella eliminazione o riduzione dei rischi in funzione del progresso delle conoscenze tecniche.

L’obiettivo, quindi, non è il documento finale di valutazione ma la stima dei rischi e la pianificazione per ridurli, in un più ampio e qualificante progetto di miglioramento continuo delle condizioni di lavoro per raggiungere quello stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.

La nuova strada che le imprese devono percorrere è quella della gestione della sicurezza, attraverso un continuo adattamento organizzativo e strutturale, la pianificazione della sicurezza non disgiunta dalla pianificazione del sistema produttivo.

L’esame degli infortuni accaduti nell’Unione Europea lascia emergere che il 75% di tali eventi sono il risultato di carenze nella gestione e nell’organizzazione del lavoro, di errori nella fase di pianificazione, dalla scarsa attenzione dei vertici aziendali per la sicurezza e nella insufficiente formazione ed addestramento degli operatori.

Quest’ultimo punto ribadisce che spesso le aziende si muovono per rispondere al solo adempimento formale alla norma invece di realizzare un processo formativo dei lavoratori che incida realmente sui loro comportamenti, che li sensibilizzi alla percezione dei rischi e li renda attori partecipi del sistema di prevenzione aziendale.

È invece necessario, soprattutto nei momenti di crisi e di difficoltà strutturali, scommettere sull’affermarsi di un’economia della conoscenza e della qualità fondata su settori e funzioni di impresa avanzati in termini di sapere tecnologico e soprattutto organizzativo: un percorso di sviluppo economico e sociale adeguato alle risorse individuali e ambientali.


Fonte:
Marco Masi - Bollettino "Toscana RLS"
Settore Sicurezza e salute sui luoghi di lavoro

La nomina del Medico Competente

Quando è necessaria la nomina del Medico Competente?

Il Medico Competente deve essere nominato solo nei casi previsti dalla normativa vigente, generalmente quindi in aziende i cui dipendenti sono soggetti ai rischi specifici per la salute elencati nel DPR 303/56, D.Lgs. 277/91 e D. Lgs. 626/94. Quindi sono soggette alla nomina del Medico Competente le aziende i cui dipendenti siano sottoposti a sforzi fisici notevoli, ad agenti chimici, cancerogeni, o biologici, a rumore, vibrazioni o scuotimenti, o a rischi per la vista. Sono altresì soggetti a controllo del Medico Competente i lavoratori addetti a lavori usuranti, a radiazioni, all'uso dei videoterminali (VDT).

Come si nomina il Medico Competente?

La nomina del medico competente viene effettuata dal Datore di Lavoro su carta intestata della Ditta e/o sottoscrizione d’incarico redatto dal Medico Competente e deve essere sottoscritta per accettazione dal Medico Competente nominato.

Quali sono le funzioni del Medico Competente?

Il Medico Competente garantisce la salute e l'integrità psico-fisica dei lavoratori. Egli partecipa alla redazione del documento di Valutazione dei Rischi e collabora all'individuazione delle misure preventive e protettive ed all'organizzazione del servizio di pronto soccorso. Visita preventivamente i lavoratori, per accertarne l'idoneità alla mansione, istituisce ed aggiorna le cartelle di tutti gli assunti, effettuando periodicamente le visite di controllo, segnala la necessità di ricorrere a medici specialisti. Collabora alla formazione ed informazione dei lavoratori, visita gli ambienti di lavoro almeno una volta l'anno con il RSPP.

Quali sono i requisiti tecnico-professionali del Medico Competente?


Per assumere l'incarico di medico competente, è necessario essere specializzati in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica, o in tossicologia industriale o igiene industriale o fisiologia e igiene del lavoro, o in clinica del lavoro. In alternativa è ammesso come requisito sufficiente la docenza o libera docenza in una delle specializzazioni indicate, o l'autorizzazione di cui al D.Lgs. 277/91.

Il Medico Competente può divulgare i contenuti della cartella sanitaria dei dipendenti?

No. Il medico competente è tenuto al segreto professionale, e non può in nessun caso divulgare argomenti espressi nella cartella sanitaria o acquisiti durante i colloqui. Deve solo comunicare al Datore di Lavoro e/o al RSPP l'idoneità o non idoneità del lavoratore.


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L'organizzazione della Sicurezza aziendale

L’organizzazione è sempre il momento fondamentale per garantire un’efficace prevenzione, prescindendo dalla dimensione e complessità aziendale (anche se è ovvio che quanto più piccola e semplice è l’azienda, tanto più elementare è il sistema organizzativo; un sistema organizzativo esiste comunque sempre!).

Come ogni processo culturale la Sicurezza, per consolidarsi, ha bisogno di tempo ma soprattutto di educazione.

L’art. 30 è una delle vere novità introdotte dal D.Lgs 81/08. Pur non essendo obbligatoria, l’adozione del modello organizzativo è opportuna e conveniente: conveniente perché sgrava le persone giuridiche, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica dalle eventuali sanzioni previste in caso di infortuni e malattie professionali a carico della società; opportuna in quanto diventa lo strumento più idoneo per definire la struttura organizzativa, comprensiva anche dell’analisi dei rischi.

All’art. 31 del D.Lgs 81/08, al datore di lavoro è richiesto di organizzare all’interno dell’azienda, il Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP) incaricando Addetti e il Responsabile del servizio stesso (RSPP), in possesso delle capacità e dei requisiti professionali definiti dal D.Lgs 195/03, interni o esterni.

Le capacità ed i requisiti professionali dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione interni o esterni, devono essere adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro.

I compiti del servizio di prevenzione e protezione, definiti dall’art. 33, vengono riportati di seguito per intero :

“1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:

a) all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;

b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;

c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;

d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35;

f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36.

Importante nell’ambito dell’organizzazione aziendale la figura di Medico Competente non più definita in ragione dei requisiti necessari per rivestire tale qualifica, ma in base ai compiti che deve svolgere.

Di seguito i principali obblighi del Medico Competente :

1. Il medico competente:
a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro. Collabora inoltre alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di «promozione della salute», secondo i principi della responsabilità sociale;

b) programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati;……

Non di secondaria importanza il ruolo del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS):
nelle aziende, o unità produttive, che occupano sino a 15 lavoratori il rappresentante per la sicurezza è di norma eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Oppure è individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo. Nelle aziende, ovvero unità produttive, con più di 15 dipendenti, si conferma la previsione precedente secondo cui il RLS è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori dell’azienda al loro interno.

venerdì 2 ottobre 2009

RLS: necessario anche nelle piccole aziende?

Chiarimenti circa la designazione del RLS in aziende con un solo dipendente e nelle imprese con meno di 15 dipendenti.

DOMANDA: C'è bisogno di designare il RLS anche in caso di ditte in cui è presente un solo dipendente? Inoltre la comunicazione del RLS all'INAIL deve essere fatta anche da piccole imprese con meno di 15 dipendenti?

Tale quesito è piuttosto ricorrente. Si rammenta, intanto, che l’elezione o la designazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) è un diritto-dovere dei lavoratori e non certo un obbligo da parte del datore di lavoro, il quale non può far altro che prendere atto delle decisioni dei suoi lavoratori a volere farsi rappresentare da un lavoratore interno all’azienda per poi comportarsi di conseguenza.
Ai sensi dell’art. 47 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 la elezione o designazione del RLS è prevista in tutte le aziende o unità produttive e quindi anche in aziende che occupano un solo lavoratore. Essendo questi l’unico dipendente si ritiene sufficiente che lo stesso esprima al suo datore di lavoro mediante una dichiarazione la volontà di assumere le funzioni e di accettare le attribuzioni che il D.Lgs. n. 81/2008 assegna alla figura del RLS. In tal caso il datore di lavoro avvierà il lavoratore alla formazione obbligatoria e comunicherà il suo nominativo all’Inail nei termini previsti dalla legge e secondo le procedure fissate dallo stesso Istituto con la propria Circolare INAIL n. 11 del 12 marzo 2009

Ricordiamo inoltre che l'RLS nominato necessita dello specifica formazione tramite il corso RLS


Per maggiori informazioni circa la formazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza:

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Data certa DVR

Sappiamo che dal 16 maggio il documento valutazione rischi deve avere data certa. Uno degli strumenti che è possibile utilizzare per garantire la data certa sul documento Valutazione dei  Rischi è la posta elettronica certificata.

Ricordiamo brevemente cosa si intende per posta elettronica certificata:

Il servizio di posta elettronica fornisce al mittente la prova legale dell'invio e della consegna di documenti informatici. La posta elettronica certificata (PEC) è la trasmissione telematica di comunicazioni con ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna e avviene ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.

La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per mezzo della posta e ha valore legale.

La data e l'ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso mediante posta elettronica certificata sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, e alle relative regole tecniche.

Il condominio è considerato un’azienda?

Chiarimenti riguardo l’obbligo di redazione del DVR e del DUVRI da parte dei condomini anche
in assenza del portiere.


Quesito
In questo periodo si riscontra una notevole confusione oltre che ad una speculazione riguardo all’obbligo di
redazione del DVR e del DUVRI da parte dei condomini anche senza portiere.

- Come sta la questione?
- Vanno sempre redatti tali documenti?
- Ed ancora, sarebbe possibile aggirare la redazione del DUVRI tramite un regolamento interno che impedisca più operazioni di manutenzione contemporaneamente?

Risposta
Per rispondere al quesito è necessario analizzare le disposizioni contenute nell’art. 26 del D.Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, relativo agli obblighi connessi ai contratti di appalto, d’opera o di somministrazione.

Il DUVRI, documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, è previsto, come è noto, dal comma 3 del
citato art. 26, ed è un documento nel quale il datore di lavoro committente deve indicare i rischi interferenziali
nonché le misure da adottare per eliminare e, ove ciò non sia possibile, per ridurre al minimo i rischi da
interferenze nel caso in cui affidi dei lavori o dei servizi ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi da
eseguire all’interno della propria azienda o di una sua singola unità produttiva.

Nel DUVRI, che deve essere allegato al contratto di appalto o d’opera, non vanno presi in considerazione,
secondo quanto indicato nel comma 3, ultimo periodo, dello stesso art. 26, i rischi specifici propri delle attività
delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.
Le condizioni, quindi, che si devono verificare affinché sorga l’obbligo dell’applicazione dell’art. 26 sono una che si sia in presenza di un committente datore di lavoro e l’altra che i lavori affidati in appalto siano da svolgere all’interno dell’azienda del committente o di una sua singola unità produttiva.

La definizione sia di azienda che di unità produttiva la si rinviene nell’art. 2 dello stesso D. Lgs. n. 81/2008 il quale alla lettera c) individua come azienda “il complesso della struttura organizzata dal datore di lavoro pubblico o privato” ed alla lettera t) come unità produttiva lo “stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”.

La definizione inoltre di datore di lavoro è riportata nella lettera b) dello stesso articolo 2 ed in esso è individuato come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Quella del lavoratore, invece, è contenuta nella lettera a) dello stesso articolo nella quale questi è individuato
come la “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito
dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di
apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

Dalle definizioni sopraindicate emerge chiaramente che, perché si configuri una azienda o una unità
produttiva, occorre che nell’ambito di una struttura o di una organizzazione di un datore di lavoro vi
siano dei lavoratori che svolgano una attività lavorativa.


Passando ora al condominio è chiaro che questo sarà equiparato ad un’azienda nel caso in cui adibisca del
personale a svolgere attività lavorativa nel proprio ambito (ad esempio portiere, giardiniere, personale addetto
alla pulizia o alla manutenzione, ecc.), e solo allora, assumendo l’amministratore condominiale la veste di datore di lavoro, vanno rispettate le disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 ed in particolare quelle contenute nel citato art. 26 (cooperazione, coordinamento, informazione ed elaborazione del documento di valutazione dei rischi interferenziali sia fra i lavoratori del committente e quelli delle ditte appaltatrici sia dei lavoratori delle ditte appaltatrici fra di loro).

In caso contrario, invece, e cioè in assenza di lavoratori dipendenti o ad essi equiparati che prestino attività lavorativa per conto del condominio, l’amministrazione non è tenuta ad ottemperare alle disposizioni dell’art. 26 del D. Lgs. ed in particolare non è tenuto ad elaborare il DUVRI.

Una conferma di quanto appena sostenuto si può riscontrare anche dalla lettura della determinazione n. 3 del
5/3/2008 dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici nella quale viene sostenuto che “si parla di interferenza nella circostanza in cui si verifica un «contatto rischioso» tra il personale del committente e quello
dell'appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti
differenti”.

Nella stessa determinazione l’Autorità di Vigilanza indica inoltre che fra i rischi interferenziali si
possono considerare, a mero titolo esemplificativo:
- quelli derivanti da sovrapposizioni di più attività svolte da operatori di appaltatori diversi (che si svolgano
ovviamente nell’ambito dell’azienda);
- quelli immessi nel luogo di lavoro del committente dalle lavorazioni dell'appaltatore;
- quelli esistenti nel luogo di lavoro del committente, ove è previsto che debba operare l’appaltatore, ulteriori
rispetto a quelli specifici dell'attività propria dell’appaltatore;
- quelli derivanti da modalità di esecuzione particolari richieste esplicitamente dal committente (che comportino pericoli aggiuntivi rispetto a quelli specifici dell'attività appaltata).

Per le considerazioni sopra espresse ed in risposta al quesito formulato, quindi, al di là delle eventuali finalità
speculative che possono indurre ad una differente interpretazione, si ritiene, in conclusione, che i condomini
che non hanno personale dipendente o ad esso equiparato non sono tenuti ad elaborare né il DVR né il
DUVRI.

Il ricorso poi, suggerito nel quesito, alla effettuazione di lavorazioni non contemporanee nel condominio si può
considerare una buona soluzione per evitare in concreto la presenza di rischi interferenziali fra le diverse imprese operanti nel condominio ma comunque non serve nel caso in cui lo stesso ha personale dipendente perché ugualmente vanno individuati i rischi interferenziali fra il personale del condominio medesimo con quello delle imprese appaltatrici sia pure che operino singolarmente.

Infortuni sul lavoro: vademecum per le vittime ed i familiari

Un aiuto ad infortunati e ai loro familiari nonchè al consulente del lavoro per affrontare i problemi concreti che seguono ad un incidente: interventi di sostegno, cure, riabilitazione e reinserimento lavorativo, collocamento mirato.

Ogni anno si registrano in tutta Italia numerosi incidenti sul luogo di lavoro. Nei casi più gravi tali incidenti portano alla morte del lavoratore o ne provocano una grave invalidità.
In tali ipotesi, i parenti delle vittime oltre al grave trauma si trovano a dover affrontare, sia nell’immediato che nel prosieguo, una serie di problemi concreti.
Talora appare difficile semplicemente individuare gli Enti competenti al rilascio di una certificazione o di un contributo economico.
 
"La prefettura di Trieste in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia, l’Inail di Trieste, la Provincia di Trieste - Centro per l’impiego, l’Azienda per i Servizi Sanitari Triestina 1 ha realizzato un compendio organico delle competenze di ciascun ente e delle varie forme di sostegno, economico e non, previste sia per le vittime di incidenti sul luogo di lavoro che per i loro familiari."

Il risultato è l’opuscolo “Infortuni sul lavoro: vademecum per le vittime ed i familiari”.

Per una più semplice ed immediata consultazione gli interventi di sostegno sono stati distinti in relazione ai destinatari (vittime e familiari) ed agli Uffici competenti che possono essere direttamente contattati agli indirizzi forniti alla fine della pubblicazione.

L’indice:
Vademecum per le vittime di infortuni sul luogo di lavoro
1. Rendita diretta per inabilità permanente
2. Assegno per assistenza personale continuativa 
3. Assegno di incollocabilità 
4. Erogazione integrativa di fine anno
5. Brevetto, distintivo d’onore e prestazione economica
6. Cure ambulatoriali
7. Cure termali
8. Riabilitazione e reinserimento, protesi e presidi
9. Collocamento c.d. mirato (collocamento obbligatorio)

Vademecum per i familiari delle vittime di infortuni sul luogo di lavoro
1. Contributo economico una tantum ai familiari dei lavoratori deceduti sul luogo di lavoro
2. Rendita ai superstiti
3. Assegno funerario
4. Fondo di sostegno per le vittime di infortuni sul lavoro
5. Speciale assegno continuativo mensile
6. Collocamento c.d. mirato (collocamento obbligatorio)


Scarica l’opuscolo “Infortuni sul lavoro: vademecum per le vittime ed i familiari” (formato PDF, 592 kB).

Fonte: Inail Trieste